“Sono triste”, “Non venire a lavoro, ti paghiamo lo stesso”: approvato il Congedo per Tristezza | Vi svegliate male e restate a casa
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“Sono triste”, “Non venire a lavoro, ti paghiamo lo stesso”: approvato il Congedo per Tristezza | Vi svegliate male e restate a casa

Arriva il “congedo di infelicità”: quando la tristezza diventa un motivo valido per prendersi una pausa dallo stress lavorativo

In un mondo del lavoro sempre più competitivo e frenetico, dove produttività e risultati sembrano contare più del benessere delle persone, arriva un’iniziativa che sta facendo molto discutere: il “congedo di infelicità”. L’idea nasce per rispondere a una realtà diffusa in tutto il mondo, quella di lavoratori che si presentano in ufficio pur vivendo momenti di profonda tristezza o stress, con il rischio di compromettere salute, motivazione e rendimento.

Il progetto del “congedo di infelicità” è stato ideato e lanciato da Yu Donglai, fondatore e presidente di Pang Dong Lai, una delle più note catene di vendita al dettaglio nella provincia cinese di Henan. Con questo provvedimento, Donglai consente ai propri dipendenti di prendersi fino a dieci giorni all’anno di pausa semplicemente quando si sentono tristi o sopraffatti. Non si tratta di malattia né di ferie, ma di un vero e proprio permesso riconosciuto per favorire la serenità e l’equilibrio tra vita privata e lavoro.

In un Paese come la Cina, dove la cultura lavorativa è da sempre caratterizzata da orari intensi e competitività estrema, questa misura rappresenta una vera e propria rivoluzione culturale. L’imprenditore ha voluto rompere il paradigma del lavoratore instancabile e sostituirlo con una visione più umana e sostenibile. I dipendenti della sua azienda lavorano solo sette ore al giorno, godono dei fine settimana liberi e di numerosi benefit, tra cui cinque giorni di ferie durante il Capodanno lunare. Un approccio che punta a dimostrare come il successo aziendale possa convivere con la qualità della vita.

Le parole di Yu Donglai sono diventate virali sui social cinesi: “Tutti hanno momenti in cui non sono felici, quindi se non sei felice, non venire a lavorare. Questo congedo non può essere negato.” L’imprenditore ha sottolineato come la libertà emotiva dei lavoratori sia una condizione necessaria per garantire un ambiente produttivo e sano. L’idea ha riscosso un ampio consenso pubblico, soprattutto tra i giovani, sempre più consapevoli dei rischi legati al burnout e alla pressione psicologica nel mondo del lavoro.

Un fenomeno sociale che apre un dibattito globale

Il successo dell’iniziativa ha alimentato un dibattito che va ben oltre i confini cinesi. In molti si chiedono se il “congedo di infelicità” possa rappresentare un modello replicabile in altri Paesi. L’attenzione crescente verso il benessere mentale nei luoghi di lavoro, infatti, è ormai una priorità globale. Secondo diversi studi, lo stress cronico e la tristezza prolungata riducono drasticamente la produttività e aumentano le assenze per malattia.

Nel nostro Paese non esiste un provvedimento simile. In Italia, la normativa riconosce come motivo valido di astensione dal lavoro solo i casi in cui la depressione sia diagnosticata da un medico e certificata come patologia invalidante. In queste circostanze, il lavoratore può usufruire di un periodo di malattia retribuita, seguendo le stesse regole previste per altri disturbi di salute. Tuttavia, non è previsto alcun permesso specifico per chi attraversa momenti di tristezza o disagio temporaneo.

Barnout – fonte pexels – Sicilianews24.it

Il valore del benessere psicologico nelle aziende moderne

Il tema solleva una riflessione profonda: quanto spazio viene realmente dato alla salute mentale nei luoghi di lavoro? Se in passato si tendeva a ignorare la sfera emotiva dei dipendenti, oggi le aziende più moderne stanno comprendendo che la serenità e la motivazione rappresentano fattori essenziali per la produttività. Investire sul benessere psicologico significa ridurre l’assenteismo, migliorare le relazioni interne e creare un ambiente più equilibrato e collaborativo.

Il “congedo di infelicità” lanciato da Yu Donglai non è solo un gesto di generosità aziendale, ma un segnale di cambiamento culturale. In un’epoca segnata da ansia, competizione e precarietà, riconoscere il diritto di essere tristi e di prendersi del tempo per sé può diventare una rivoluzione silenziosa ma potente. Forse il futuro del lavoro passa proprio da qui: dalla capacità di mettere la persona, e non la produttività, al centro di tutto.

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