Messina Denaro, arrestato l’ultimo boss stragista: trovato il covo
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Messina Denaro, arrestato l’ultimo boss stragista: trovato il covo

Dopo l’arresto del boss Matteo Messina Denaro di ieri mattina presso la clinica La Maddalena di Palermo, i carabinieri del Ros, hanno individuato anche il covo. È a Campobello di Mazara, nel centro abitatao. Le ricerche sono state coordinate dal procuratore aggiunto Paolo Guido, che ha partecipato alle operazioni. La perquisizione è durata tutta la notte.

Campobello di Mazara è un centro di 11 mila abitanti in provincia di Trapani, a soli 8 chilometri da Castelvetrano, paese di origine di Messina Denaro e della sua famiglia. Diversi pentiti hanno raccontato che il padrino trapanese era custode del tesoro di Totò Riina, documenti top secret che il boss corleonese teneva nel suo nascondiglio prima dell’arresto, fatti sparire perché la casa di via Bernini, a Palermo, a differenza di adesso, non venne perquisita subito.

Matteo Messina Denaro aveva il nome falso di Andrea Bonafede, nato il 23 ottobre 1963 e stamattina aveva un appuntamento per un ciclo di chemioterapia. Cappellino, cappotto di montone da uomo e occhiali da vista scuri, stava facendo colazione e dopo avere accennato una breve fuga avrebbe ammesso di essere il boss superlatitante. L’arresto sarebbe stato salutato da un applauso delle persone presenti.

Le accuse al boss

L’accusa principale è di avere partecipato alla strategia stragista che portò alla morte tra gli altri di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.

Un’accelerazione nelle ultime settimane ha portato a compimento un lavoro corale durato anni. Gli inquirenti nel corso di una conferenza stampa a Palermo hanno definito i contorni dell’arresto del boss. “E’ una giornata importante, in cui la Repubblica salda un debito nei confronti dei suoi martiri”, ha detto il procuratore capo di Palermo, Maurizio De Lucia. “La mafia non è sconfitta, la partita non è finita, ma quello di oggi è un passaggio importante. È un bel segnale che la gente oggi abbia applaudito all’arresto, sappiamo cosa significa questo a Palermo”, ha aggiunto. Fondamentale per l’arresto di Messina Denaro una lunga serie di indagini legata al suo stato di salute, e che ha portato all’arresto proprio nel giorno in cui avrebbe dovuto eseguire dei controlli presso la clinica Maddalena, a Palermo, dove si presentava con documenti falsi, spacciandosi per Andrea Bonafede. “Allo stato non abbiamo elementi su presunto coinvolgimento o complicità da parte della clinica, il latitante aveva fornito documenti falsi. Naturalmente gli accertamenti sono all’inizio”, ha sottolineato De Lucia.

“Dopo un percorso investigativo durato molti anni nell’ultimo periodo abbiamo acquisito elementi legati alla salute del latitante, e al fatto che stesse frequentando una struttura sanitaria per curare la sua malattia”, ha spiegato il generale Pasquale Angelosanto, comandante del Ros dei Carabinieri. “Il lavoro è stato caratterizzato da rapidità, riservatezza, e dal modo che ci ha consentito in poche settimane gli elementi per individuare una data, quella di oggi, in cui Messina Denaro si sarebbe sottoposto ad accertamenti”, ha aggiunto. La certezza gli investigatori l’hanno avuta solo stamattina: “L’accostamento della persona con il nome falso al latitante era stato ipotizzato nei giorni scorsi, ma è stato accertato stamattina. Il riscontro lo abbiamo avuto stamattina”, ha chiarito il generale. “L’attività investigativa di questi anni e gli arresti hanno ristretto la rete di protezione di Messina Denaro”, ha poi detto De Lucia, spiegando che per il momento il boss “non parla”. Il procuratore ha sottolineato l’importanza delle intercettazioni: “Senza questo strumento non si possono fare indagini, questo deve essere chiaro. Anche in questa operazione le intercettazioni sono state fondamentali”. “E’ evidente che in questi anni Messina Denaro è stato aiutato, ha avuto delle protezioni, e su questo stiamo lavorando”, ha aggiunto.

Messina Denaro andrà al 41bis, il carcere duro

“Non abbiamo avuto contatti preliminari con la clinica, la nostra indagine è stata telematica per individuare possibili soggetti con una patologia compatibile con quella del latitante”, ha proseguito il procuratore, che sul ruolo di Messina Denaro, ha chiarito: “Era un capo operativo con un ruolo di garanzia importante per la gestione degli affari”. Per Messina Denaro “è stato proposto il regime speciale 41 bis fin da subito, non possiamo rivelare la casa circondariale”, ha spiegato De Lucia, mentre il procuratore aggiunto della Dda di Palermo, Paolo Guido ha sottolineato che le sue condizioni “sono compatibili con il carcere, naturalmente sarà sottoposto alle cure necessarie”. Alla conferenza stampa anche Vincenzo Agostino, padre dell’agente di polizia Nino, ucciso dalla mafia 33 anni fa. “Si può fare luce sui delitti irrisolti come quello di mio figlio? Noi familiari chiediamo ancora che venga fatta luce”, ha chiesto. “Questo sarà uno dei nostri impegni maggiori. Nessuna delle vittime di mafia deve rimanere senza risposta. Tutto il nostro impegno è rivolto in questa direzione. Non ci fermeremo”, ha risposto il procuratore De Lucia.

“L’intervento di oggi (ieri per chi legge) si è sviluppato su più fasi. Attraverso delle attività tecniche avevamo avuto contezza che il presunto latitante stesse arrivando presso la struttura sanitaria, ed è scattato un sistema che era stato messo a punti su più livelli. Nei pressi della clinica il latitante è stato individuato e bloccato insieme al suo complice”, ha spiegato il colonnello Giuseppe Arcidiacono, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo. “Il latitante si è palesato subito nella sua identità, e guardandolo c’era anche poco da verificare, il volto è quello che ci aspettavamo di trovare”, ha aggiunto. Al momento dell’arresto, Messina Denaro indossava un orologio da 30-35 mila euro, hanno spiegato gli inquirenti, che indagano anche su Giovanni Luppino, che oggi accompagnava Messina Denaro ed è stato arrestato per favoreggiamento. Fuori dalla sede del comando Legione Carabinieri Sicilia si è formata nel corso della conferenza stampa una folla di giovani, con striscioni e cartelli. “Palermo è nostra e non di Cosa Nostra”, questo uno dei cori dei manifestanti, ai quali ha rivolto un saluto il comandante della Legione Sicilia dell’Arma Rosario Castello: “C’è stato un lavoro di squadra, e la bontà del risultato è testimoniato dalla vostra presenza qui oggi. Vogliamo essere un riferimento per i cittadini, un presidio sicuro e importante in ogni Comune”.

-foto Comando Carabinieri –

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