“Signor giudice, ho solo inviato un messaggio su Whatsapp”: 50.000 euro di multa | Meglio disinstallare l’app
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“Signor giudice, ho solo inviato un messaggio su Whatsapp”: 50.000 euro di multa | Meglio disinstallare l’app

Whatsapp come prova in giudizio, una rivoluzione digitale: i messaggi istantanei sono considerati documenti informatici

La digitalizzazione delle comunicazioni ha introdotto questioni giuridiche completamente nuove, offrendo strumenti probatori prima impensabili. Tra questi, i messaggi istantanei, come quelli scambiati su Whatsapp, rappresentano un esempio significativo. Ma in quali condizioni possono essere utilizzati come prova in sede giudiziaria? La normativa e la giurisprudenza forniscono ormai indicazioni chiare, sebbene siano necessarie precauzioni per garantirne l’affidabilità.

La Suprema Corte ha stabilito che gli SMS e, per estensione, i messaggi Whatsapp costituiscono documenti informatici ai sensi dell’articolo 2712 del Codice Civile. Questi messaggi contengono atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e formano piena prova dei fatti narrati, a meno che la parte contro cui sono prodotti ne contesti la conformità. La giurisprudenza ha così riconosciuto alle comunicazioni digitali la stessa dignità dei documenti tradizionali, aprendo la strada all’utilizzo in procedimenti civili.

Non tutti i messaggi possono essere prodotti automaticamente come prova. La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 11197 del 2023, ha chiarito che occorre dimostrare autenticità, provenienza e integrità. I messaggi devono provenire da dispositivi identificabili e non devono risultare alterati. Per garantire questi requisiti, è possibile ricorrere a perizie forensi o consulenze tecniche che attestino la correttezza del contenuto digitale.

I messaggi che rispettano tali criteri costituiscono piena prova dei fatti in essi narrati. Il giudice può valutarli come documenti informatici, salvo disconoscimento della parte avversa. Tuttavia, una contestazione generica non basta: deve essere chiara, circostanziata ed esplicita. Solo in presenza di elementi concreti che dimostrino la non corrispondenza tra messaggio e realtà il giudice può ridurne il valore probatorio.

Whatsapp come prova di credito

Importante è anche l’utilizzo dei messaggi Whatsapp per dimostrare pretese creditorie. La Corte di Cassazione, nell’ordinanza n. 1254 del 2025, ha riconosciuto che un messaggio contenente il riconoscimento di un debito equivale a promessa di pagamento. Questo significa che tali comunicazioni possono supportare il recupero di crediti, fungendo da prova documentale anche se non accompagnate da altri elementi contrattuali.

La decisione della Corte prende spunto da una controversia relativa a forniture di serramenti. In primo grado, il tribunale aveva respinto la richiesta di pagamento, ma la società fornitrice aveva prodotto messaggi Whatsapp nei quali il debitore riconosceva l’importo dovuto. La Corte d’Appello e successivamente la Suprema Corte hanno confermato l’ammissibilità dei messaggi come prova, sottolineando il loro valore documentale e probatorio.

Disinstallare Whatsapp – fonte pexels – Sicilianews24.it

Norme e giurisprudenza in evoluzione

L’orientamento giurisprudenziale dimostra come il diritto civile si stia adattando all’evoluzione digitale. Messaggi istantanei e altre comunicazioni elettroniche vengono sempre più spesso riconosciuti come strumenti validi per provare accordi, riconoscimenti di debito e obblighi contrattuali, riflettendo le nuove modalità con cui avvengono gli scambi interpersonali e commerciali.

Nonostante i progressi, restano criticità. L’autenticazione del messaggio e dell’autore deve essere garantita, per prevenire manipolazioni o falsificazioni. La giurisprudenza impone quindi misure tecniche e procedurali adeguate. Sarà necessario attendere ulteriori pronunce per delineare pienamente il quadro normativo, ma il percorso intrapreso segna un passo decisivo nell’integrazione dei nuovi strumenti digitali nel diritto probatorio italiano.

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